domenica 3 gennaio 2010

I dischi migliori di sempre

Intervento di Corrado Zedda
Un po' di tempo fa Roberta mi ha chiesto un parere sui migliori dischi degli ultimi anni e su quelli migliori di sempre.
In questi casi i pareri sono perlopiù soggettivi, anche se 50 anni di critica musicale, le opinioni convergenti di critica, pubblico, amici e la sedimentazione di un certo immaginario collettivo dovrebbero contare qualcosa.
Allora ho deciso di proporre la mia lista, che risente per il 30% delle valutazioni oggettive generali ma per il 70% del mio personalissimo parere, anche se nel campo non credo di essere assolutamente un incompetente.
Buon divertimento allora: comincio con l'inserire le copertine dei dischi, alle quali, col tempo e su questo stesso post, allegherò delle mini recensioni di pochissime righe. Tempo permettendo...
1997: un disco che ha creato un suono che molti altri, più o meno dotati, più o meno mediocri, hanno clonato e riadattato in senso commerciale (vedi Muse, Coldplay ed epigoni vari). In 13 anni non ha perso nulla dela bellezza di allora
1969: giusto 40 anni fa. Per chi pensando a Neil Young pensa al cantante degli innamorati, ecco la prima svolta sonica del canadese, con le chitarre elettriche belle sferraglianti a trafiggere i cuori dei ragazzi e delle ragazze, con i primi esperimenti di feedback impensabili per l'epoca, Velevet Underground a parte. Grande, oggi come allora
1977: la new wave non è stata solo Talking Heads, Blondie, Ramones da una parte e British Rock dall'altra. Questo è un disco che ha rivoluzionato il concetto di quartetto rock e di uso delle chitarre: provate a capire chi dei due chitarristi è il ritmico e chi il solista. E poi i testi, visionari, "lunari", appunto, di Tom Verlaine, con una New York spettrale, in cui cadere fra le braccia della Venere di Milo...
1998: un anno d'oro, con tante belle uscite. Ma soprattutto questo sarà il disco da ricordare, che continui ad ascoltare oggi con un senso di struggente nostalgia, melodie che ti fanno tornare indietro con la mente a quando, bambino, credevi che un giorno il mondo sarebbe stato popolato di astronavi e il sistema solare sarebbe stato dietro casa tua. Elettronica e strumenti veri, fusi in un'alchimia dagli equilibri delicatissimi da reggere
1977: Gli anni '70, dopo la fine dei Velvet, dei Beatles e degli Stooges, avevano portato un sacco di progressive molto cerebrale e ipersuonato con maniacale precisione, Io odio letteralmente Pink Floyd, Genesis, Yes e compagnia varia. Questo è stato il disco che ha riscattato la musica, non solamente il rock. Questo è uno dei 4 - 5 dischi rock più importanti di sempre: lunga vita a Deniz Tek e Rob Younger
1967: qui non devo aggiungere alcun commento. Chi non conosce il disco più importante del XX secolo (con buona pace di Beatles e Rolling Stones, che pure stimo e apprezzo tantissimo) è come se non conoscesse la Divina Commedia
1985: al di là di quanto Tom Waits e i suoi dischi abbiano ispirato generazioni di cantautori e anche qualche cialtrone nostrano (vedi il disgustoso Vinicio Capossela), questo è davvero un disco che può piacere a tutti, con un Waits ispiratissimo e sempre più pronto a osare e sperimentare, dopo il trauma della svolta sonora degli anni precedenti. Gli anni '80 non sono stati solamente yuppies, paninari, techno pop e videoclip
1998: il terzo disco solista di Mark Lanegan, che mette definitivamente in luce le sue doti senza una vera band a sostenerlo. Molti chiedevano con insistenza un nuovo album degli Screaming Trees ma che bisogno c'è quando si propongono dischi come questo? Un poeta della notte, allucinato, dolente, eppure dolce e ruvido allo stesso tempo. L'amicizia, il dolore, il viaggio, in atmosfere sospese tra Gram Parsons e Tom Waits, eppure tutto molto ma molto personale. Un disco stupendo, che i propositori del new folk manderanno a memoria negli Anni Zero
2000: a carriera abbondantemente iniziata ecco il loro capolavoro. Situazioni e atmosfere apparentemente molto normali e tradizionali, tra le quali si insinuano inaspettatamente crepe di inquietudine che generano una sensazione di costante tensione, nonostante tutto sembri scorrere placidamente, cullati da suoni notturni e caldi. Ma dietro la finestra... E' proprio come nelle splendide foto che corredano l'album
1984: il capolavoro della new wave italiana cantata in italiano. Federico Fiumani ha oggi molti detrattori, specialmente fra gli spocchiosi personaggi dell'indie rock italiano ma intanto non si è mai venduto come hanno fatto questi signori e anche se ha pubblicato molti dischi brutti, una sola canzone sua vale un'intera discografia di ciarlatani senza talento. Lo so, tutti dicono che i Diaframma erano bravi quando c'era Miro Sassolini a cantare. Ma cosa ha scitto Miro negli ultimi 20 anni? A Fiumani "Siberia" non glielo toglierà mai nessuno, ci provi qualcun altro a lasciare una pietra miliare del genere
1994: è vero, i Marlene non si sono mai riavvicinati ai livelli di questo loro disco di esordio ma hanno comunque creato un piccolo immaginario di provincia che ha un suo senso e un suo valore. Saranno forse i Sonic Youth dei poveri ma questo disco è proprio bello
1990: album della svolta, quasi sconvolgente per i suoi vecchi fan. A livello di testi c'è una crescita enorme, anche sottolineata dal fatto che l'edizione vinile italiana contiene le traduzioni con una nota esplicativa sul valore del disco e del personaggio. Alcune fra le più belle canzoni di Nick Cave e della musica popolare in generale si trovano qui dentro
1992: quale disco scegliere fra quelli dei Sonic Youth? Almeno una buona metà. Scelgo però quello che gli ha tributato il maggior successo commerciale e di critica. Un capolavoro sonico, la catastrofe che viviamo nella nostra società odierna incombe ed è quasi preannunciata nell'atmosfera generale di quest'album imprescindibile. Una volta tanto anche i puristi riusciranno a identificare qualcosa di "tradizionale" fra i suoni della band...
1978: francamente non ho parole. Con questo disco è cambiata la mia vita e non solo quella musicale. Ogni altro commento sarebbe superfluo...
1967: il primo concept album della storia, la grandezza dei Beatles, ecc., ecc. Non mettere i Beatles in questa lista sarebbe un'eresia. A me piaciono, certo, ma non li vedo come un faro della mia vita, quindi fanno parte di quel 30% di cui parlavo a inizio nota. Senza di loro, in ogni caso, la musica non sarebbe stata più la stessa, credo, manca la controprova...
1968: per me meglio dei Beatles, anche se non li ascolto mai tanto quanto meriterebbero. Un gran disco, scelto un po' a caso, perche fra il 1965 e il 1975 ci sono almeno 5 - 6 dischi degli Stones che meriterebbero di entrare qui dentro...
1988: anche se questo disco non ha una data precisa. E' una delle cose più intense di Chet Baker e della musica in generale che io abbia mai ascoltato, degna conclusione di più di 30 anni di musica vissuta fino alla consumazione
1966: la svolta elettrica di Dylan, coadiuvato da alcuni musicisti di grande spessore. Dylan è stato sempre un grande scrittore, spesso però disinteressato agli arrangiamenti delle sue canzoni, tant'è che le cose migliori (per un ascoltatore) le ha prodotte quando si è circondato di ottimi musicisti - produttori (Mark Knopfler, Daniel Lanois, Al Cooper e altri). Lo ascolto più dei Beatles e degli Stones insieme, quindi il 30% che ho inserito nella nota si accompagna a un altro 30% di mio
1997: che ci fa un "minore" come Steve Wynn in questa lista? Innanzitutto non è un minore per niente, dato che i Dream Syndicate hanno fatto la storia della musica americana degli anni '80 e chi queste cose non le sa peggio per lui, perché sono cose da sapere e basta. Poi si tratta di un disco stupendo, in cui le idee di Wynn sono grandemente supportate da un gruppo spalla di lusso, niente meno che i Come di Thalia Zadek e compagni, i poeti dell'underground bostoniano degli anni '90. Per chi con la musica si è fermato a Dylan, Beatles e al massimo U2 sono probabilmente concetti difficili da accettare ma i fatti sono questi
1982: al 100% mio, anche se la critica specializzata lo considera uno dei migliori album irlandesi di sempre. Io dico solo: ascoltate questo disco e ve ne innamorerete. Impegno civile, emozioni, preparazione tecnica paurosa che compie miracoli nei dialoghi fra chitarra elettrica, sax e uilean pipes. Per chi ha la passione civile e dei sentimenti nel cuore questo è un disco che chi in Italia vuole cambiare le cose deve assolutamente ascoltare: né folk, né rock, ne jazz: sono i Moving Hearts!
1987: lo so, è da eretici mettere questo album invece di altri, ma il grande pubblico degli ultimi 20 anni ha scoperto davis e il jazz con questo. Io poi non ho un disco preferito ma solamente canzoni qua e la, come per Charlie Parker e Dizzy Gillespie. E poi non sono né purista né esperto, quindi per me va bene così, sarebbe come se un jazzista mi dicesse che il più grande disco di rock fosse qualcosa dei pink Floyd...
1998: avrei dovuto mettere anche The Gift dei Jam e Cafè Bleu degli Style Council, giusto per far capire l'importanza di Paul Weller. Ho messo invece Stanley Road perché in fondo rappresenta la rinascita, dopo che i soliti criticoni lo avevano dato per finito ed erano andati alla caccia spasmodica della "next big Thing"... Quando si vorrà ricordare eun certo clima in Inghilterra e in Europa tra XX e XXI secolo, si ascolterà Paul Weller
2002: sono italiano e quindi mi piace mettere in evidenza la buona musica italiana, quando c'è. Oggi la ricetta dei Baustelle è andata un po' a male, però questo è uno dei 10 dischi più importanti di musica italiana dagli anni '70 ad oggi. Ascoltare per credere
1996: grandi gli Afterhours, uno dei 4 - 5 gruppi italiani che possano dirsi rock. ancora oggi si ascoltano volentieri e sono invecchiati molto meglio di tanti altri. Quando vedo certi alunni smidollati con cui ho a che fare di tanto in tanto, non posso non ascoltare "Sui giovani d'oggi ci scatarro su"...
1998: Marco Diamantini è un mio amico di penna e i dischi dei Cheap Wine sono fra i più bei dischi rock che io abbia mai ascoltato, assolutamente al livello dei grandi dischi americani. Poi in questo album ci son "A better place", che fa 10 a 0 a "Io vagabondo" e "Strange girl", che tutti avremmo voluto dedicare a quella ragazza che non ha mai corrisposto al nostro amore
1983: per comprare questo disco mi ricordo di aver fatto la cresta sui soldi del campeggio. Ho passato una settimana quasi a pane e acqua a Costa Rei e poi, tornato a Cagliari ho comprato questo disco e un altro paio che assolutamente volevo. Uno dei capolavori del paisley underground, anche se un po' acerbo. Con l'innesto successivo del chitarrista Chuck Prophet IV sarebbero definitivamente decollati, ma a me piacevano già cosi

1979: come "Nevermind" dei Nirvana negli anni '90, c'è poco altro da aggiungere, la grandezza dei Joy Division parla da solo e io preferisco non usare molte parole per ricordare Ian Curtis. Magari non li ho ascoltati alla follia, ma la loro musica mi ha turbato e fatto crescere allo stesso tempo
1991: forse il disco che più di tutti ha segnato una generazione, nel senso che era dagli anni '60 - primi '70 che non compariva sulla scena un personaggio del calibro di Kurt Cobain, non tanto per le qualità artistiche (che stavano apena venendo fuori), quanto proprio per simbolo genrazionale, al pari di James Dean, Jim Morrison o David Bowie. Un gran disco, ancora perfettamente attuale. il grunge si identifica con loro
1976: New York ha dedicato a Joey Ramone una strada e ha dedicato il 19 maggio a festa nazionale americana... Tutto vero! C'è chi diventa baronetto e chi invece entra direttamente nel cuore delle persone. Per me 2 minuti dei Ramones aggiustano una giornata cominciata male. Adios Amigos!
1984: agli inizi degli anni '90, dopo le sfortunate vicissitudini coi Jack & the Rippers e i Mind the gap, mi ero chiuso un po' troppo in una musica ambient e alla David Sylvian. Avevo perso il contatto con la mia anima rock. Gli Husker Du, che Marco mi aveva fatto conoscere, hanno significato per me ritrovare la mia indole più vera. Questo è un grandissimo disco, ho suonato a lungo "Pink turns tu blu" (Salvatore, ti ricordi che la suonavamo a Orosei nel garage del tuo amico?). Furore punk rock ma con un chitarrista (Bob Mould) tecnicamente molto dotato, Grandiosi anche i dischi successivi, il mio cruccio è quello di non aver visto Grant Hart a Sassari qualche anno dopo
1978: credo che ciò che mi abbia sempre differenziato da un Michele Medda da una parte e da un Giorgio Loddo dall'altra, sia il non rimanere rinchiuso in uno steccato di generi: se al primo piaciono Springsteen e Dylan e al secondo Marc Almond e Joy Division o David Sylvian, perché a me non può piacere l'uno e l'altro senza essere quasi commiserato dall'una e dall'altra parte? Per me questo è il miglior album del boss: duro e cazzuto, con la telecaster che ti colpisce come un pugno alla bocca dello stomaco. Mai più risentito Springsteen suonare con questa visceralita e istintività. Ancora non sovra prodotto e molto essenziale, pur con la E-Street Band al completo
1992: altro disco della vita e, come per gli Husker Du, altro disco del "risveglio2 dai torpori sperimentali. Per me i dischi dei Mudhoney e loro derivati sono quasi tutti sullo stesso piano, scelgo questo, però, perché contiene "Suck you dry", con un incedere maestoso e una batteria super, che ha fatto letteralmente sbragare un mio alunno di Settimo San Pietro, a 12 anni già un batterista preparato
1984: questo disco ha aperto una nuova pagina della mia vita. La Bande Dessinèe, Otto Gabos, le sperimentazioni grafiche e fumettistiche. Un disco magico e misterioso, che ancora oggi mantiene intatta la sua alchimia. Inoltre per anni ho suonato con lo spirito di questo disco e di quelli successivi di Sylvian, forse troppo, ma non me ne sono pentito
1992: ero indeciso fra questo album e Life reach pageant, perché entrambi li ho letteralmente consumati, in vinile, in cassetta e poi in cd. Questo però ha un fascino tutto suo e mi ricordo la presentazione fiume che ne avevano fatto a Planet rock, su Radio2: Ricordatevi di noi e di questo disco. E io me lo tengo stretto, insieme coi ricordi di quegli anni
1984: li ho scoperti da solo e non avevo sentito prima nulla del genere. Poi ho scoperto che anche altri amici e conoscenti li avevano scoperti allo stesso modo. Certo, sono stati anche molto sostenuti dalla critica e dalle radio, ma il successo degli Smiths da noi è arrivato in gran parte col passaparola collettivo. Real around the fountain, Hand in Glove e tante altre sono per me ricordi indelebili, di cui ho già parlato in un precedente post dedicato a un concerto - tributo agli Smiths

martedì 21 luglio 2009

Arrivano i nostri?

Copio e incollo questo articolo di Annalisa Terranova dal Secolo d'Italia del 16 luglio 2009, perché mi trova totalmente d'accordo. E' tratto dal blog del giornalista, Roberto Alfatti Appetiti.

Quando non è possibile dire "arrivano i nostri" (articolo di Annalisa Terranova sulla sentenza Sandri)

Articolo di Annalisa Terranova
Dal
Secolo d'Italia del 16 luglio 2009
Non è un Paese normale, né civile, quello in cui se a compiere un delitto è un uomo in divisa scatta una sorta di rete di protezione, una cortina fumogena di mistificazione, che si conclude con una pena irrisoria nei confronti del singolo che ha infranto la legge. Non è un Paese normale né civile perché in questo tipo di Paese chi ha una divisa ha la missione di tutelare le persone e non di offenderle, di prevaricarle, di ucciderle. Fatta questa premessa essenziale, occorre dire che questa riflessione dev’essere approfondita soprattutto da parte di quella destra che dinanzi a una carica dei carabinieri o degli agenti di polizia pensa meccanicamente: «Ecco, arrivano i nostri!». Ma sono i «nostri» davvero? O non si dovrebbe recuperare un giudizio più distaccato? Nel recente passato, prima dello sciagurato omicidio di Gabriele Sandri, non sono mancati purtroppo casi in cui giovani vittime di uomini in divisa non hanno avuto giustizia, casi che hanno infranto in modo clamoroso il principio-cardine dello Stato di diritto secondo cui tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge.
L’elenco è penoso, ma occorre farlo. Partiamo da Giorgiana Masi uccisa durante una m
anifestazione dei radicali il 12 maggio del 1977. Aveva diciannove anni. L’età, per dirla con Lucio Battisti, in cui si hanno nel cuore “prati verdi che nessuno ha ancora calpestato”. C’erano agenti in borghese armati infiltrati tra i manifestanti, ma l’omertà non consentì di arrivare a individuare un responsabile dell’assassinio. Poi ci sono due ragazzi che riguardano da vicino il mondo della destra. I loro volti li conosciamo bene, così come le loro storie. Stefano Recchioni, 19 anni, centrato in pieno volto da un proiettile sparato dal capitano dei carabinieri Edoardo Sivori. Anche in quel caso, si tentò il depistaggio d’ordinanza: furono casualmente rinvenuti proiettili nelle tasche dei pantaloni di Stefano. Ce l’avevano messi per dimostrare che era un facinoroso accorso ad Acca Larentia per fomentare disordini. Vi era accorso scioccato, come tutti noi, per la morte di due che erano davvero “dei nostri”. L’altro ragazzo è Alberto Giaquinto, ucciso con un colpo alla schiena dall’agente in borghese Alessio Speranza. Come vogliamo definire queste morti? Omicidi di Stato? In ogni caso gli esecutori materiali dei delitti non hanno fatto nemmeno un giorno di carcere. Sivori se la cavò con la condanna per “eccesso colposo di legittima difesa”, Speranza fu prosciolto da ogni accusa. Poi ci sono i fatti del G8 di Genova del 2001: disastrosa gestione dell’ordine pubblico e non solo per colpa dei black bloc. Un ragazzo morto: Carlo Giuliani. Dice: stava tirando un estintore contro la jeep da dove sparò il carabiniere Placanica. Vero, ma colpisce di più il fatto che avesse vent’anni. Colpisce il fatto che il Defender assaltato passò due volte sul corpo di Giuliani. Colpisce che non gli spararono alle gambe. Dice: l’agente Placanica era sotto choc, c’era un clima di tensione altissima. Ma perché mandare giovani agenti impreparati in quell’inferno? In ogni caso, alle forze dell’ordine non dovrebbe appartenere il concetto di vendetta che ci fu e che fu messa in pratica nella caserma Bolzaneto, dove venivano portati i manifestanti fermati, picchiati e umiliati, insultati e costretti ad abbaiare o stare in piedi su una gamba sola. E vendetta ci fu con l’irruzione della polizia alla scuola Diaz, di notte, dove dormivano i militanti del Genoa Social Forum. Scene da “macelleria messicana” ebbe a dire un poliziotto, Michelangelo Fournier, che all’epoca dirigeva la missione punitiva in seguito ripudiata. Ovviamente furono trovate molotov, peccato che ce le avessero portate gli agenti stessi, per giustificare la mattanza. Il tragico cerchio di errori, di eccessi, di deviazioni da quello che dovrebbe essere il normale comportamento degli uomini in divisa, addestrati per tutelare i diritti dei cittadini e non per violarli, si chiude con il caso Sandri. La pena irrisoria inflitta all’agente Spaccarotella dimostra ancora una volta che la giustizia diviene magicamente strabica quando si tratta di punire il responsabile di un delitto se quel responsabile si fregia dell’appellativo di membro delle forze dell’ordine. Si replicherà: una mela marcia non pregiudica la bontà dell’intero frutteto. Ma se il contadino anziché buttarla via la spaccia come buona e genuina, su tutta la merce grava il sospetto di avaria.
L’ultimo episodio da citare riguarda gli scontri di piazza Navona tra i militanti di Blocco studentesco e gli estremisti di sinistra che intendevano cacciarli dalla manifesta
zione degli studenti contro la riforma dell’Università. Scontri che sono durati minuti interminabili senza che le forze dell’ordine intervenissero. I cronisti giunti sul posto subito dopo i disordini raccoglievano commenti tra gli stessi tutori dell’ordine che suonavano così: «Stavolta hanno fatto tutto loro, hanno fatto tutto da soli». E loro, perché non sono intervenuti? Naturale che affiorasse il sospetto di una mancanza di interventismo utile a riprodurre la logica degli opposti estremismi. Un atteggiamento tragico, che ha rappresentato la linea dominante durante i neri anni di piombo italiani la cui lezione, evidentemente, non è stata ancora appieno metabolizzata.
Tutti conosciamo la storia di Pinocchio, che a un certo punto viene “prelevato” da due gendarmi che lo portano in gattabuia. Tutti abbiamo compreso la morale della storia: anche a chi compie monellerie deve essere data una possibilità di riscatto. E nel caso di Pinocchio ciò è utile proprio a far sì che il burattino diventi “umano”. Si tratta di un metasignificato della favola che vale come fondamento di ogni società davvero coesa. Per questo siamo comunque con Pinocchio. E non vorremmo che, dopo la vergognosa sentenza sull’omicidio Sandri, si trattassero i tifosi come tanti Pinocchi su cui esercitare il rigore della legge.
Annalisa Terranova è nata a Roma nel 1962, giornalista e scrittrice. Caposervizio al "Secolo d’Italia", è redattrice al mensile "Area" e collabora con varie testate. E' stata tra le fondatrici del Centro Studi Futura ed attiva nella rivista "Eowyn". Ha pubblicato (per le edizioni Settimo Sigillo), Planando sopra boschi di bracciatese ('96), saggio sul movimento giovanile del MSI, e Aspetta e spera che già l’ora si avvicina (2002), dedicato agli eventi di Alleanza Nazionale in rapporto alla svolta di Fiuggi e nel 2007 ha pubblicato Camicette nere. Donne di lotta e di governo da Salò ad Alleanza Nazionale (Mursia).