venerdì 10 ottobre 2008

IL J’ACCUSE DELLA SCUOLA CONTRO LA RIFORMA INESISTENTE


di Corrado Zedda

Dopo il recente intervento del ministro dell’Istruzione Gelmini sul futuro della Scuola italiana e di chi al suo interno ci lavora, una risposta è non solo necessaria ma indispensabile, per poter chiarire, attraverso un’analisi circostanziata di quanto espresso dal ministro, quali sono gli scenari che si presentano all’istituzione scolastica già a partire dall’anno scolastico 2008-2009.
Grembiulini, voto di condotta, giudizi espressi numericamente appaiono a tutti gli effetti provvedimenti che suscitano il compiacimento di chi vuole che la Scuola italiana riacquisti i suoi valori di autorevolezza e guida morale, in un mondo ormai dominato dalla maleducazione, dallo sprezzo di ogni regola civile e comportamentale, dalla logica del più forte che si impone sul più debole. Tutto sommato ben vengano questi provvedimenti, anche se la loro efficacia sarà tutta da dimostrare. Solo che essi non devono distrarre dalla sostanza vera che la “riforma” gelminiana sta portando avanti e di quegli aspetti, serissimi e strutturali quali la modifica degli orari delle discipline, il ritorno al maestro unico nella Scuola dell’Infanzia e i conseguenti tagli agli organici che ne deriveranno, aspetti dei quali incredibilmente nessuno parla o, se lo vuole fare, non riesce a trovare quegli spazi di visibilità accaparrati da temi quali, appunto, il grembiulino, il voto di condotta ecc. Insomma alcuni visibilissimi e attraenti specchietti per le allodole, che inseriti in una vera riforma pensata per il reale bene della Scuola acquisterebbero ancor più centralità e importanza, nascondono una realtà molto più dura e cruda per chi nella Scuola ci vive e lavora quotidianamente, affrontando difficoltà ogni giorno sempre crescenti.
Per non cadere nella sterile e generica accusa di incapacità rivolta al ministro Gelmini da più parti o, peggio, per non cadere nella ancora più inutile invettiva fine a se stessa, occorre tenere la barra del timone ben ferma ed esaminare attraverso una lettura attenta e circostanziata le parole del ministro e gli atti formali della sua politica, per verificare se corrispondano al vero o se, al contrario, non siano facile demagogia o peggio, gli atti di una politica pericolosamente sovversiva per il futuro dell’istituzione e, più in generale della società.
Ma iniziamo a esaminare le dichiarazioni del ministro per come sono state riportate nella sua intervista all’ANSA del 7 settembre 2008.
“Per la Scuola è finita un’epoca, non è più un ammortizzatore sociale, non può più essere uno stipendificio”.
Così esordisce il ministro e si comincia con un bell’insulto alla categoria, giusto per piazzare immediatamente il cazzotto in faccia alla controparte. Si dice, senza tante perifrasi, che la maggior parte degli insegnanti sono dei parassiti ruba stipendio, che usano la Scuola solamente per sopravvivere, altrimenti sarebbero a spasso perché tanto sono dei buoni a nulla in cerca solamente di uno stipendio che consenta di sbarcare il lunario. Si tratta del modo di ragionare tipico di un padrone di azienda, arrogante e dittatoriale, ma non ha nulla a che vedere col mondo della Scuola e della formazione culturale in genere.
Soprattutto si denigrano delle persone che hanno speso la loro gioventù negli studi, laureandosi, specializzandosi con grande fatica, affrontando anni di tirocinio e precariato scolastico in sedi spesso lontanissime da casa, e per questo affrontando sacrifici e spese non indifferenti e che, nel loro piccolo, hanno contribuito a far “girare l’economia”, come si dice in termini economico aziendali. Ma ciò che colpisce di più è il fatto che, ancora una volta, la Scuola è vista come una sorta di ricettacolo di miracolati, di persone che arrivano a insegnare senza merito e con furberie di bassa lega. Bisognerebbe ricordare al ministro e a chi la pensa come lei che nella Scuola si entra per Concorso, l’unico concorso in Italia che è possibile superare attraverso valutazioni oggettive e verificabili, non per raccomandazioni e manfrine politiche. Vincendo il Concorso si entra in una graduatoria di merito (si, proprio quel merito di cui si riempie la bocca il ministro), dopo di che si fa pazientemente la fila nel sottobosco del precariato, anche per molti anni, in attesa della chiamata in ruolo, secondo la propria posizione in graduatoria e, dunque, secondo un merito che è stato valutato in sede concorsuale.
Quindi, come avvisa minacciosamente il ministro, “è finita un’epoca: la Scuola non sarà mai più un ammortizzatore sociale se lo mettano bene in testa tutti, sindacati compresi, se non vogliono risultare impopolari nel paese”.
“Se lo mettano bene in testa”. Parole testuali.
Fa una sinistra impressione impressione il tono ultimativo e sprezzante della Gelmini, più simile a quello di chi comanda dei sottoposti, che non a quello di chi governa nell’interesse generale. Si tratta anche di un avvertimento, anzi, di una minaccia ai sindacati, visti non come costola fondamentale di una moderna società democratica, ma come un ostacolo da rimuovere con ogni mezzo. Zitti, si intima, vi tolleriamo appena, perché siete fastidiosi per l’attuazione dei nostri programmi, ma state al vostro posto, perché tanto non contate più niente e se vogliamo possiamo aizzarvi contro il Paese. Sembra la Marcegaglia più che il ministro della Pubblica Istruzione (anzi, “Istruzione” e basta, il “ Pubblica” è scomparso…).
Coerentemente a queste premesse il ministro espone il suo ragionamento di base:
“Perché il contribuente italiano deve pagare in tasse il triplo dei soldi se al posto di 3 maestri ne basta 1, se al posto di 4 bidelli e personale amministrativo ne bastano 3?”
Questo argomento dovrebbe, da solo, risvegliare dai sogni quelle anime candide che erano ancora convinte della buona fede e delle genuine intenzioni del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (perché anche i più ingenui sanno bene che la Gelmini non conta niente e deve solo eseguire gli ordini calati dall’alto come un buon soldatino, ringraziando di essere lì al suo posto). Si taglia tutto e non si riforma un bel niente, questa è la verità, nuda, cruda e palesemente esplicitata.
Di fronte a una simile logica di cassa, nessun italiano a digiuno sull’argomento e avvelenato dall’odio di parte che si è generato nell’ultimo decennio potrà mai avere dei dubbi e ascoltare (non dico comprendere, ma anche solo ascoltare) le ragioni del buon senso. Che sarebbero ovvie, naturalmente.
Signor ministro, questo personale serve! Tagliando i docenti si stipano 30 o anche 35 alunni in una sola classe dove il malcapitato docente va a tentare di svolgere il suo lavoro per poche ore, dividendo il suo insegnamento in 2 o anche 3 classi diverse, ecco perché tutto ciò è pericoloso e sovversivo. 1.300.000 dipendenti sono troppi? E in base a quali esigenze? Un docente di Italiano può davvero insegnare bene e con profitto in due magari tre classi di 30 alunni? Un docente per 70 – 90 alunni? Con le Segreterie sempre più oberate di lavoro? E i bidelli che non possono sdoppiarsi o avere il dono dell’ubiquità? E, soprattutto, con decine di bambini stressati e scalmanati che alla fine dell’anno non avranno imparato nemmeno ad alzarsi e sedersi correttamente dalle proprie sedie perché insegnare la disciplina in condizioni simili è pura utopia? Sarà facile, a quel punto, affibbiare la colpa del fallimento scolastico tutta sugli insegnanti, per poterli poi randellare ulteriormente, in uno spaventoso loop vessatorio.
“Sui cittadini italiani del 2020 non si deve scherzare “ dice la Gelmini, “il loro destino non può essere oggetto di bassa speculazione politica” Verissimo ciò che dice il ministro con la sua frasona ad effetto e stucchevolmente retorica: non si scherza sul futuro dei cittadini. Ma purtroppo è quello che sta facendo lei…
Parafrasando le parole del ministro: non si deve scherzare sulla dignità e il futuro degli insegnanti, del personale scolastico, ma, soprattutto, non si scherza sulla pelle dei bambini, che pagheranno, nel loro percorso scolastico e di vita, scelte scriteriate e quella che davvero si configura come una bassa speculazione politica.
E invece si arriva al paradosso del caso dell’Educazione Civica nelle Scuole Medie. La disciplina è stata sempre insegnata dai docenti di Lettere, classe di concorso A043. Fino a quando, guarda caso con il ministro Moratti, non si è deciso di far diventare la materia di competenza di tutti gli insegnanti, naturalmente togliendo quell’ora curriculare al docente di Lettere, dato che la disciplina non era più di sua esclusiva competenza. Ora la Gelmini ha deciso di reintegrarla a carico del docente di Lettere, come in passato, ma, guarda caso, non gli si restituisce l’ora che aveva in passato, destinata espressamente per quella materia. E qui si vede tutta la malafede del ministro Gelmini: se si vuole che l’Educazione Civica venga svolta si deve restituire (e non concedere!) l’ora curriculare, altrimenti da dove potrà mai ricavare il tempo per insegnare la disciplina il povero docente? eliminando l’unica ora di Geografia? riducendo da due a una l’ora di Storia? erodendo ulteriormente le ore destinate a Italiano e Grammatica? Su questo punto i docenti non hanno ricevuto alcun chiarimento. Sono stati abbandonati in mezzo al caos legislativo. La Gelmini, è risaputo, di professione fa l’avvocato. Ed effettivamente esercita in pieno questa sua competenza, che si basa sul trovare mille ragioni e mille cavilli per rigirare la frittata, trovando una giustificazione legale, una scappatoia per le proprie decisioni. Ma tutto questo ha una dubbia legalità e sarebbe bene che i sindacati facessero sentire forte la loro voce, non solo a parole, ma aprendo un contenzioso avverso il Ministero dell’Istruzione e, se servirà, una richiesta di tutela legale verso la categoria degli insegnanti, vista l’illegittimità di imporre provvedimenti assurdi come quello relativo all’ora di Educazione Civica. Disciplina, questa, che tutti i docenti ritengono fondamentale proprio per insegnare agli studenti quali sono i diritti e i doveri dei cittadini. In primo luogo il diritto a non vedersi vessati e calpestati in modo tanto maldestro e grossolano.
Sullo stesso registro si inserisce il dibattito sulle famose 24 ore nella Scuola Primaria, di cui si bea tanto vistosamente il ministro. Non si tratta di 24 ore ma di 22, 2 in meno al passato, in quanto le altre 2 ore sono quelle di Religione, inserite dopo l’ultimo Concordato con la Chiesa Cattolica e di competenza di un altro insegnante, appunto quello di Educazione Religiosa. Ma anche questo non viene detto al momento di sbandierare i proclami ministeriali. Si preferisce mettere in primo piano argomenti di facile presa, come il popolarissimo ritorno a rigorose misure disciplinari, comunque opportune, per fare contente le famiglie e l’opinione pubblica, che con ragioni sacrosante, invocano più fermezza. Ma così facendo si eludono le inderogabili questioni strutturali.
Come è facile dedurre, non di vera riforma si tratta ma solamente di un maldestro progetto di risparmio sulla pelle di docenti e alunni. Perché allora non lo si dice chiaramente? L’attuale governo si avvale di una solidissima maggioranza parlamentare, non avrebbe bisogno di ammantare ipocritamente, sotto il velo di una riforma inesistente, una politica di risparmio delle risorse. Così è trattare i propri dipendenti come bambini deficienti. I provvedimenti li imponga e basta, con franchezza e coraggio delle proprie azioni, senza giustificazioni improbabili o false motivazioni. Se avrà avuto ragione saranno gli stessi cittadini a riconfermargli la fiducia alle prossime elezioni.
“Questo è un governo rivoluzionario”, afferma con orgoglio la Gelmini. No. Questo è un governo sovversivo, come ha efficacemente spiegato Michele Serra in un recente articolo su “La Repubblica” (28 agosto 2008).
“L’idea balorda”, scrive Serra, “che la scuola pubblica sia solo una delle scuole, una delle possibilità formative, non solo ha stornato risorse altrove, ma ha parzialmente svuotato di orgoglio e e certezze l’intero ambiente: esattamente come se le Forze Armate sapessero di essere parificate a eserciti privati, a pari titolo destinatari di denaro pubblico nel nome della libertà di scelta”. Insomma, la Scuola pubblica non ha più la sua centralità ideologica che era tutt’uno con la sua identità, cardine formativo di un popolo e di uno Stato. Questo, è essere sovversivi, altro che ’68!.
Un’altra affermazione sostanzialmente scorretta e ancora una volta in malafede, per il modo a senso unico con la quale viene presentata, riguarda gli aspetti finanziari relativi alla Scuola e di competenza statale.
“Il bilancio del ministero dell’Istruzione è utilizzato per il 97% per pagare stipendi”, afferma il ministro. Certamente, dato che per tutto il resto provvedono e investono le regioni (progetti di recupero, iniziative di potenziamento, come i poli informatici), i comuni (edilizia scolastica, servizio mense) e le famiglie (acquisto dei libri). Il Ministero investe si il 97%, non però su chissà quali cifre ma giusto per lo stretto dovuto, il trasferimento degli stipendi e nulla più.
Vediamo ora, però, come l’affermazione sopra riportata si connette a quelle che riporto di seguito:
“Il problema della Scuola Italiana non è quanto denaro si spende ma come viene speso”, sostiene la Gelmini. “Gli investimenti pubblici per la Scuola in Italia sono in linea con gli altri paesi, ma la qualità è fortemente inferiore […]. I paesi migliori nelle classifiche OCSE Pisa sono quelli che hanno il minor numero di ore”.
Su queste affermazioni occorre chiarire che esse, ancora una volta, non rispondono a verità, o meglio, mostrano solo una parte di verità, come proverò a illustrare di seguito.
Quanto ad arretratezza siamo, è vero, in buona compagnia: la Svezia sembra l’Italia, più che la vicina Finlandia, spesso presa come esempio positivo. L’arretratezza svedese pare dovuta, in misura cospicua alla liceizzazione degli istituti tecnici. Oggettivamente la “Riforma Moratti svedese” ha creato in Svezia tutta una serie di problemi e scollamenti, errori che si sta cercando di superare puntando sull’alternanza massiccia fra scuola e lavoro.
L’esempio della Finlandia è diverso. Nei periodi “critici” e di crisi dell’istruzione scolastica si aumenta la spesa per l’istruzione scolastica, cioè il contrario di quanto accade da noi, dove si tende a finanziare le istituzioni private, soprattutto cattoliche, rivalendosi sull’esborso finanziario sostenuto a spese dell’istituzione pubblica, con contrazione degli orari curricolari e conseguente riduzione delle cattedre. Quindi non è vero che gli investimenti pubblici in Italia sono in linea con gli altri paesi europei. Al contrario, in molti di questi paesi per l’istruzione si spende tanto e vige un sistema culturale, di insegnamenti e di valorizzazione del sistema scolastico pubblico che è radicalmente distante dal nostro e che varrebbe la pena di studiare, per valutarne gli aspetti positivi e negativi.
Per quanto riguarda l’Italia, invece, i risultati si manifestano chiaramente in tutta la loro tristezza. Se prendiamo in esame i dati statistici, notiamo come la situazione sia oramai a un punto critico. In Italia il 17% degli studenti è analfabeta in termini scientifici, mentre solo l’1,5% raggiunge livelli di eccellenza: la “Curva di Gauss” è totalmente sballata (1) e mostra nella sua cruda oggettività quanto il nostro sistema scolastico è costoso e inefficiente Vale a dire che i soldi sono investiti male. Fino a oggi si è puntato sui corsi, non sulle lezioni e i contenuti, questa è la critica mossa più frequentemente. Così di quanto utilizzabile dai corsi, come sempre, è rimasto poco o niente. Anche gli Uffici Scolastici Regionali si comportano come le Regioni alle quali fanno riferimento: ricevono dei soldi che poi girano alle scuole, che li utilizzano “a pioggia”, seguendo priorità e criteri molto opinabili. Da lì non si esce e manca una seria politica didattica. Cosa si deve fare in concreto? In tale ottica ha probabilmente più senso produrre una sola volta i contenuti e distribuirli, e non dare tutti qualche soldo che poi si disperde senza lasciare tracce significative.
Ma alla fin fine è proprio lo Stato che dimostra di non aver fiducia (nel senso di non fidarsi) della Scuola e dei suoi docenti, ed è questa una pregiudiziale gravissima, perché se manca il rapporto di fiducia manca tutto.
Come ricorda sempre Michele Serra nel suo articolo, “gli insegnanti si sentono soprattutto sgridati, accusati di essere impreparati, sciatti, assenteisti e magari meridionali. E il loro essere malpagati, secondo lo spirito dei tempi appare più come una colpa che come un torto subito. Avrebbero bisogno dell’esatto contrario: di un ministro che batta i pugni sul tavolo e pretenda risorse, quattrini e rispetto in pari misura. Un ministro che sia il primo dei docenti e non la loro controparte. Come può pretendere rispetto e stima dagli studenti una scuola che non ha più il rispetto e la stima dei politici che la reggono?”.
C’è lo spazio, al termine di questa disamina, per una breve riflessione di carattere socio antropologico. La gente, si sa, è cattiva. Ultimamente è sempre più cattiva. Può arrivare anche a desiderare l’annientamento fisico dell’avversario, solo per il gusto di “vedere il sangue”. E questa classe di governo attualmente al potere sta risvegliando gli istinti peggiori della gente, per aizzarla contro i propri avversari politici secondo i propri interessi e le proprie convenienze. Il ceto docente, disunito e litigioso al suo interno, isolato nella società, impoverito e demotivato dalle istituzioni, è un bersaglio ideale per far convergere l’odio sociale che sempre più sta avvelenando il nostro paese. I docenti, gregge di pecore in un mondo di lupi, mal sopportato come gli ebrei alla vigilia dell’Olocausto.
Sullo scempio che si sta consumando sulla pelle degli insegnanti lo Stato ha una responsabilità gravissima, di cui solo il tempo, in un futuro temo molto lontano, potrà rendere giustizia. Per il momento si deve soffrire e basta.

(1) La Curva descrive la distribuzione di una variabile casuale, detta appunto variabile gaussiana. È una curva simmetrica rispetto all’asse passante per il suo punto di massimo, estesa da -∞ a +∞ lungo l’asse delle ascisse del piano cartesiano. Un caso tipico in cui si utilizza la curva di Gauss è la rappresentazione dei risultati di un’osservazione sperimentale, che siano soggetti soltanto a errori casuali. La deviazione standard è il parametro che esprime la dispersione dei dati rispetto al valore medio, determinando la forma tipica della curva: se il valore di σ è piccolo, la curva di Gauss ha una forma alta e stretta (i valori misurati della variabile x si discostano poco dal valore medio); se invece σ è grande, la curva di Gauss risulta bassa e larga (i dati si discostano di molto dal valore medio, o perché le misurazioni effettuate sono affette da grossi errori casuali, o perché la natura stessa della variabile comporta grandi fluttuazioni del suo valore).

1 commento:

Anonimo ha detto...

Se permetti riporterò le tue illuminanti considerazioni nel mio blog. Di scuola mi sto interessando parecchio, sebbene non sia insegnante.
Frank57
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